Si è parlato di tante, tantissime possibili motivazioni che hanno portato il coronavirus a diffondersi in modo così veloce nel nostro Paese. Alcuni parlano del nostro clima, quello mediterraneo, che sarebbe ideale per la proliferazione del virus. Altri invece si interrogano sulla nascita di questa pandemia mondiale, associata ipoteticamente ai pipistrelli. Intanto però arriva uno studio, effettuato da Sima (Società italiana di medicina ambientale) con la collaborazione delle Università di Bologna e Bari. Incrociando i dati delle Agenzie regionali e i casi di contagio documentati dalla Protezione Civili sembra che possa essere stato l’inquinamento a causare una diffusione così veloce nel Nord Italia.
Che cosa dice lo studio sulla diffusione del coronavirus
I ricercatori hanno revisionato anche altri report che si concentravano proprio sul lavoro svolto dal particolato atmosferico che diventerebbe il trasportatore di contaminanti chimici e biologici. E ovviamente dei virus. Il particolato non è altro che un substrato che aiuterebbe al virus di restare in aria per un determinato tempo. Parliamo di ore, a volte di giorni.
Studiando i dati è emersa una connessione tra il superamento delle concentrazioni di PM10 tra il 10-29 febbraio e il numero di contagi da COVID-19 al 3 marzo. Ovviamente si considera anche il ritardo temporale che è di 14 giorni, pari al tempo di incubazione del virus e il palesarsi dell’infezione. Tale accelerazione anormale dell’inquinamento avrebbe automaticamente dato l’impulso alla diffusione così rapida dell’epidemia. E il dato è più evidente proprio nelle province che sono diventate poi i primi focolai a livello nazionale. In questo modo si arriva anche a credere che ridurre al minimo le emissioni, in collaborazione con una meteorologia favorevole, potrebbe rallentare il virus.
Smog e traffico: che correlazione c’è con la pandemia
Per cercare di spiegarla in modo semplice possiamo dire che il virus si aggrappa allo strato atmosferico, fatto da particelle solide o liquide e resta in azione per giorni. In questo modo viaggia e può anche essere trasportato per lunghi tratti.
Al momento si attendono ulteriori prove che possano consolidare questa ipotesi, ma è quasi sicuro che l’alta concentrazione di polveri sottili potrebbe essere un indicatore (o uno dei tanti) legato al coronavirus. Inoltre, in fase di analisi, è emerso anche che non potrebbe essere sufficiente mantenere una distanza di 1 metro se le concentrazioni nell’atmosfera sono alte.
Dopo 2 settimane di quarantena che cos’è cambiato?
Ancora una volta dobbiamo usare il condizionale perché tutto dovrà essere ancora confermato. Ora che gli italiani sono chiusi in casa (salvo i professionisti di determinati settori che per ovvi motivi non si possono fermare), le auto sono ferme e le polveri sottili che tipo di risposta danno? Come dimostravano anche le immagini e le analisi fatte sul traffico in Cina, anche qui da noi i livelli di inquinamento stanno calando, ma va precisato che in Italia l’inquinamento da auto è pari al 22%. Ciò significa che i livelli non scendono in modo così veloce, a meno che nelle prossime settimane non si verifichino piogge abbondanti con vento.
Le nostre case sono sicure?
E’ buona abitudine iniziare a fare quello che ci richiedevano i nostri genitori quando eravamo piccoli: aprire le finestre per qualche minuto più volte in un giorno. Chi ha la possibilità dovrebbe anche usare dei purificatori d’aria soprattutto all’interno di uffici e attività che non si sono potute fermare.
Ricordiamo che anche se l’inquinamento è esterno, i luoghi pubblici indoor che fino a poche settimane fa ospitavano migliaia, milioni di italiani e non solo, presentano un inquinamento di 5 volte superiore a quello esterno. Risanare quindi questi spazi è fondamentale per pensare di contenere e debellare il coronavirus.
In queste settimane, così come si mormora da molto tempo, sono state richieste a gran voce delle procedure salva-ambiente che potrebbero aiutare l’atmosfera a ripulirsi progressivamente.